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Bollati Boringhieri (2017)

Ho molti amici gay. La crociata omofoba della politica italiana

Non possono fare gli insegnanti né i capi scout, non devono baciarsi e tenersi per mano in pubblico, vanno curati e, se possibile, redenti. Da sempre la politica italiana dice di non avere «nulla contro gli omosessuali» eppure, da sempre, li discrimina. C’è chi invoca «sobrietà», chi domanda «discrezione», chi chiama in causa la Bibbia, chi ricorre a citazioni d’autore. Passano gli anni, cambiano i toni e gli interlocutori ma il risultato – nonostante gli ultimi passi in avanti – resta lo stesso: diffidenza e fastidio, fino all’aggressione verbale e all’insulto. Sin dal dopoguerra la crociata contro i «malati» e gli «anormali» recluta quasi tutti: capi di Stato e di governo, ministri e parlamentari, segretari e leader di partito. Attecchisce a destra ma spopola anche a sinistra, coinvolgendo figure insospettabili e venerati padri della patria. «Ho molti amici gay» non è solo l’immancabile premessa di rito prima di ogni discorso omofobo, dentro e fuori dall’Aula. È la storia, succinta e dettagliata, di quanto la discriminazione e il pregiudizio contro gli omossessuali siano radicati nella politica e nella nostra società. Garantendo all’Italia l’infelice primato del Paese con la classe dirigente più omofoba in Europa.

Bollati Boringhieri (con P. Volterra, 2016)

Bisogna saper perdere. Sconfitte congiure e tradimenti da De Gasperi a Renzi

Si vince e si perde ovunque, non solo in Italia. Ma in Italia, più spesso che altrove, chi è vinto non accetta la sconfitta.

Bisogna saper perdere racconta il declino, l’uscita di scena ma anche l’horror vacui di alcuni degli uomini più potenti del nostro Paese. Politici che hanno governato un partito, o uno Stato, per anni, a volte per decenni. Che hanno avuto a disposizione soldi e voti. Che hanno regalato sogni e speranze, e attirato invidie e diffidenze. E che alla fine, inevitabilmente, hanno fatto i conti col fallimento di un progetto o la fine di una carriera.

Questo libro è una storia pubblica, ma anche un diario privato. Rivela i dubbi di Umberto II e Mario Segni, il risentimento di Parri e Prodi, l’amarezza di De Gasperi, il cinismo di Togliatti, gli insuccessi di Nenni e Fini, le fughe e la pervicacia di Fanfani e De Mita, la rabbia di Craxi, l’ostinazione di Berlusconi, fino all’irruzione di Renzi.

C’è chi, ieri come oggi, grida al “colpo di stato”, chi invoca i “brogli”, chi si scaglia contro le congiure, chi prepara rivalse e vendette, chi ostacola con ogni mezzo la sua successione e chi ostenta distacco, finge l’addio, ma prova a mantenere il controllo su poltrone e programmi.

Perché, a volte, saper perdere conta molto più di vincere. E soprattutto perché la sconfitta svela meglio di qualsiasi vittoria la natura degli uomini e la maturità di una democrazia.

Bollati Boringhieri (2015)

A casa sono le regine indiscusse, fuori le suddite sottomesse. Viste dalla politica, le donne italiane devono essere così. «La moglie fa la moglie e basta», deve essere «remissiva», ha molti doveri, pochi diritti e «specifi che attitudini». Se la donna è emancipata diventa subito di «facili costumi», se è bella «è per questo che fa carriera», se è brillante non può che essere «abilmente manovrata».Stai zitta e va’ in cucina è la storia degli insulti, delle discriminazioni e dei pregiudizi politici nei confronti delle donne. Ed è una storia a cui prendono parte quasi tutti: i padri costituenti e Beppe Grillo, il Pci e Silvio Berlusconi, la Dc e i partiti laici, i piccoli movimenti e le grandi coalizioni. Da questo punto di vista, la politica italiana si mostra singolarmente unanime. Nell’Italia repubblicana la crociata sessista arruola tutti: premier, segretari di partito, ministri, capi di Stato, giù giù fi no all’ultimo portaborse sconosciuto. Dopo il suffragio universale, «concesso» nel ’45, il maschilismo italico si fa sentire già con la stesura della Costituzione, per proseguire fi no ai giorni nostri, tra appelli, citazioni sofi sticate e insulti da bettola.Dalla battaglia sul divorzio alle norme contro la violenza sessuale, dall’accesso alla magistratura al dibattito sulle quote rosa, questo libro è un succinto racconto storico – incredibilmente attuale –, per capire come si è diffusa e perpetrata la misoginia politica in uno dei Paesi più maschilisti d’Europa.

Roma, 1946. Dopo le prime elezioni a suffragio universale, i deputati arrivano a Montecitorio. La maggior parte di loro stenta a trovare un alloggio e qualcuno è persino costretto a sedersi alle mense pubbliche. L’austerità dell’onorevole, però, dura un battito di ciglia. Tra consulenze fittizie, appalti truccati, scandali sessuali e finanziamenti statali, i tic e i vizi dei primi parlamentari italiani si rivelano molto presto simili, se non identici, a quelli di oggi. Persino le giustificazioni suonano incredibilmente familiari: «È accaduto a mia insaputa», «ho peccato di buonafede», «non ho visto una lira, ho girato tutti i soldi al partito».

Lei non sa chi ero io! è l’implacabile resoconto degli sprechi dei primi vent’anni della Repubblica: una ricostruzione dettagliata della nascita della Casta, corredata da dati in parte inediti, che si concentra sui privilegi del sottobosco governativo, tra aiuti a industrie vicine alla politica, scandali finanziari tollerati dall’esecutivo, tangenti, finti monopoli, enti inutili e fondi neri. E poi ricatti incrociati, dossier segreti, e tentativi di revisione della Costituzione a colpi di maggioranza.

Un racconto ormai «storico», ma ancora così attuale da sembrare cronaca di questi giorni.

Nel Novecento italiano esiste una letteratura che non ha trovato facili sbocchi né calorosi incoraggiamenti. Ha spesso venduto migliaia di copie, ha ottenuto premi e riconoscimenti, è stata acclamata dai suoi lettori, finendo però anni dopo con l'essere tacciata di evasione o, al peggio, di futilità.

E' la letteratura di Grazia Deledda e Carlo Cassola, di Federigo Tozzi e Giovanni Arpino, ma è anche quella di scrittori rimasti più in ombra, come Antonio Russello. Guardata di sottecchi dalla maggior parte degli addetti ai lavori, si è tenuta volutamente alla larga da mode e tic letterari, restandone il più delle volte adombrata. E ha così scontato la peggiore delle pene postume: non è stata ricordata come meritava, se non quale ricorrente strumento di battaglia e di polemiche letterarie.

Da Alvaro a Longanesi, da Morante a Ginzburg, da Pampaloni a Cancogni, "I sommersi e i dannati" non è solo il racconto della vita e delle opere di grandi narratori, critici ed editori che hanno preferito la parola chiara e diretta all'enigma fumoso e al gioco linguistico irrisolto.

È il resoconto di un persistente malinteso culturale che ha finito col coincidere con una versione riduttiva e schematica della parola e della realtà.

Le poesie di Vendola e Bossi, i dialoghi tra Di Pietro e i suoi pulcini, le vacanze di Formigoni, i complessi estetici di D’Alema. Mentre la Seconda Repubblica arriva al capolinea, quattordici dei suoi protagonisti si raccontano. Per la prima volta a loro insaputa.
Lo fanno attraverso un esilarante blob costruito con le frasi più surreali e divertenti rilasciate in centinaia di interviste, conferenze stampa, comparsate televisive, autobiografie ufficiali e intercettazioni, mixate in una lunga confessione senza freni inibitori.
Ogni ritratto si trasforma in un monologo ininterrotto che rivela vizi, tic, contraddizioni ideali e caratteriali di un’intera classe dirigente. Da Bersani a Fini a Bertinotti a D’Alema, passando per Mastella, Prodi e Casini, tutti si confessano in prima persona. Tutti tranne Silvio Berlusconi. A raccontare il Cavaliere ci pensano le donne che lo hanno conosciuto. In un crescendo molto poco istituzionale che dal bunga bunga arriva allo squit squit, ultima moda delle cene di Arcore.

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